L’8 ottobre il Piemonte era rappresentato da centinaia e centinaia di lavoratori, lavoratrici, pensionate e pensionati, per riempire una Piazza del Popolo colorata di migliaia di bandiere e striscioni.
“Ascoltate il lavoro”. Il messaggio di Maurizio Landini è stato chiaro: è una piazza antifascista, a un anno dall’assalto alla sede della Cgil Nazionale di corso d’Italia, una piazza per il lavoro, per un fisco equo, per diritti garantiti da contratti collettivi più rappresentativi, per un taglio vero alle bollette che utilizzi le risorse degli extraprofitti.
Da sempre il lavoro è al centro delle proposte della Cgil, ancora di più adesso in questa drammatica situazione sociale ed economica, aggravata dalla guerra e dalla crisi energetica.

Per Giorgio Airaudo, segretario generale Cgil Piemonte, occorre un accordo imprese-sindacati per parlare con il Governo.
Lo spiega bene in questa intervista sul Corriere della Sera di Torino del 10 ottobre, rispondendo anche a Luca Cordero di Montezemolo che, sullo stesso giornale, aveva parlato di una “Torino cupa e grigia”.
Airaudo
«La Torino di oggi non è cupa e grigia, rispetto ai tempi della Fiat non è più una città dormitorio. Ha saputo reinventarsi, differenziarsi, ed è più multietnica. Allo stesso tempo però è più povera e sono aumentate le disuguaglianze. Prima il reparto automotive raccoglieva una grande quantità di ricchezza, e garantiva una redistribuzione ai lavoratori. Oggi questo non c’è più e la periferia viene sempre dopo il centro». Così Giorgio Airaudo, segretario generale della Cgil Piemonte, risponde a Montezemolo, che ha definito il capoluogo «triste e orfano dell’auto».

Airaudo, oggi è in programma l’assemblea degli industriali piemontesi. Qual è il vostro appello?
«Oggi sindacati e imprese devono trovare un accordo per superare la crisi e chiedere al governo interventi tempestivi. Le richieste, per buona parte, sono le stesse. Serve garantire la continuità produttiva, sia per le aziende che per i lavoratori. E questo passa necessariamente da un tetto al costo dell’energia. Ci sono imprese che da mesi lavorano in perdita e rischiano di andare fuori mercato, con richieste di cassa integrazione nonostante l’alta domanda di produzione. Se l’Europa non trova una direzione comune deve intervenire il governo, com’è accaduto in Germania».

Dove si trovano i fondi?
«La nostra proposta è di istituire un Fondo di aiuto finanziandolo con gli extraprofitti delle imprese energetiche. Non serve per forza uno scostamento di bilancio. Il governo però decida chi vuole proteggere. Servono nuovi protocolli per salvaguardare le imprese e i posti di lavoro, come è accaduto durante il Covid. Prima si è garantito il lavoro in sicurezza, oggi servono certezze sui costi».

Altrimenti quali sono i rischi?
«Affrontiamo uno dei momenti più complessi della nostra storia. Abbiamo alle spalle la pandemia, facciamo i conti con la guerra e le bollette continuano ad alzarsi. Se non si interviene rischiamo il collasso del sistema manifatturiero piemontese. Oggi non viviamo tutti le stesse difficoltà, e l’Italia rischia di pagare il prezzo più alto».

Oltre al tetto sull’energia, quali sono le richieste?
«Andrebbe ripristinato il blocco dei licenziamenti, che purtroppo non include i precari. La cassa integrazione invece deve essere defiscalizzata, in modo che la differenza possa andare nelle tasche dei lavoratori per difendere il loro potere d’acquisto».

Come valuta il nuovo governo? È preoccupato?
«Lo aspettiamo, ciò che chiediamo è di ascoltare il mondo del lavoro prima di prendere provvedimenti. La Flat tax, ad esempio, è ingiusta e sbagliata. Si tratta di una misura che difende i super ricchi e chi non paga le tasse. In questo momento storico sgravare i costi a chi ha fatturati più alti sarebbe ancora più grave».

Qual è la forza politica a cui vi rivolgete? Domenica Giuseppe Conte era in piazza per la manifestazione della Cgil. I 5 Stelle stanno prendendo il posto del Pd nelle battaglie di sinistra? O vi sentite orfani?
«Di sicuro esiste un problema di rappresentanza dei lavoratori, ma non abbiamo preferenze: chiunque sia disposto a dialogare e condivide le nostre battaglie è ben accetto. Serve una sinistra che torni a parlare ai più fragili. Per anni gli italiani si sono sentiti dire che, per salvare il Paese, serviva allungare l’età pensionabile, mentre i figli dovevano adattarsi ed essere più flessibili. Col tempo si è capito che si intendeva precari. È questo il punto di rottura tra la politica e la popolazione. I 18 milioni di italiani che non hanno votato, dopo tanti sacrifici, pretendono delle risposte».